Chi si chiede cosa si fa qui si rassereni: esattamente non lo sa nessuno.
Io ci metto qualche parola e qualche foto.
Con un'unica regola: solo finché mi fa felice.

lunedì 25 agosto 2014

Quella volta che l'Estate ha deciso di scappare


Quella volta che l’Estate ha deciso di scappare
ha deluso gli entusiasmi di chi pregustava il mare,
ha deluso Studio Aperto, dove già la redazione
preparava le interviste su calura e solleone,
ha deluso anche i patiti delle gite su in montagna,
sollevando ovunque un’unica, comune, nota lagna:
“Ma l’Estate, quest’estate, pensa poi di farsi viva?
E i bikini che ho comprato? E la tintarella estiva?
Chi poteva immaginarlo? Questa estate ha perso il lume…
È da marzo che in palestra penso alla prova costume!”

Credevamo fosse saldo, giudizioso e equilibrato,
ma anche il Sole si è stufato di esser dato per scontato.
Se non è scontato lui, che ha un intero cosmo intorno,
figurarsi se è scontato qualche istante del mio giorno.

mercoledì 13 agosto 2014

Quella sera avevo tutto

Foto di Elena Orsi :)

Quella sera avevo tutto. C’eravamo io ed Elena sedute a un tavolino rotondo con i nostri genitori, in attesa che iniziasse la musica. Mi ero messa un vestito lungo di cotone, di quelli che a Imola non indosserei mai, e lo avevo stretto in vita con un foulard giallo, perché in valigia non avevo portato nessuna cintura. Il bar era lo stesso di sempre ma con una veranda nuova, aperta sulla spiaggia, fatta di assi di legno bianco dove Spotty stava accucciato senza smettere di scodinzolare, soprattutto quando la cameriera scriveva le ordinazioni e poco dopo arrivava col suo vassoio di calici, spritz e un mohito, una ciotola di noccioline, qualche cappero fresco. Non c’era bisogno di dirsi qualcosa, non per forza, come sempre quando sono in vacanza coi miei: è il momento in cui mi sento da sola eppure insieme, ed è bello sapere cosa ci piace senza doverlo precisare o dimostrare. Piano piano si riempivano i tavolini accanto, e c’erano anche dei gruppi di amici giovani, qualche comitiva venuta da Roma per il weekend, ma per quanto immaginassi che quella vacanza tra ragazzi doveva essere una pacchia, non avrei mai fatto a cambio con la mia settimana in famiglia, nel posto che amo di più al mondo, insieme ai tre personaggi che mi hanno fatto ridere e piangere più di chiunque altro. La sabbia a chicchi grossi stava diventando rossa mentre il sole scivolava verso il mare, e il faraglione era una sagoma nera ritagliata contro il cielo. Mi divertivo a chiamare “gallinelle” i gabbiani che zampettavano tra gli ombrelloni ormai chiusi, e un po’ invidiavo quelli che galleggiavano sull’acqua, abbandonati a quel tramonto liquido e alla cantilena delle onde. Quando penso a quella spiaggia ho in mente un profumo di sale che forse nemmeno si sente, magari è solo nella mia fantasia, ma ce l’ho dipinta così bene dentro che le immagini non bastano: i ricordi sono una pozione di odori, di suoni e di luci più veri della realtà. Ho sempre avuto l’impressione che quell’isola sapesse quando io c’ero, che mi parlasse mediante il vento e mi tenesse stretta come una grande mano fatta di roccia e di pini. Non so se esista anche il resto dell’anno, quando io sono lontana: se il pesce continui a riempire le reti del porto e le buganvillee continuino a riempirsi di calabroni, se le campane della chiesa suonino nell’aria tersa del mattino e i tramonti si ripetano ogni sera puntuali. Non credo, non adesso che non ci sono io.

Comunque quella sera una signora suonava l’arpa, posizionata sulla sabbia a metà strada tra noi e il mare. Era bionda e aveva gli occhiali scuri, mani leggere e un abito bianco, leggero anche lui, con la gonna fino a terra. Nel silenzio speciale della musica, quando tutti stanno zitti ma c’è un gran brusio di pensieri, io ricordo di essermelo detta chiaramente: mai, mai più nella mia vita, mi sarei privata di qualcosa che potesse farmi felice come quella sera, con quell’isola, il tramonto, la musica e i miei compagni di viaggio.