Chi si chiede cosa si fa qui si rassereni: esattamente non lo sa nessuno.
Io ci metto qualche parola e qualche foto.
Con un'unica regola: solo finché mi fa felice.

venerdì 26 giugno 2015

Io voglio


Spero di non sembrare sgarbata ai tipi più fini…
Lo so che “l’erba voglio” non cresce in tutti i giardini,
ma adesso ho quasi trent’anni e in barba all’educazione
archivio il condizionale, che spesso è solo questione
di starsene buoni e zitti, attenti a non far rumore.
Ma quale “vorrei” e “vorrei”? Io voglio, con tutto il cuore!

Io voglio, quasi da sempre, imparare a suonare l’arpa,
saper lavorare ai ferri da fare almeno una sciarpa
che sia tutta colorata, così la regalo a Natale,
perché voglio soddisfare la mia vena artigianale.
Io voglio una casa allegra, in ordine poco importa,
poesie scritte sopra il muro e amici sempre alla porta,
io voglio guardare il cielo per trenta giornate al mese,
scattare le foto al grano, guardare i film in inglese,
poi voglio perdere tempo, ma solo se ci guadagno,
fissare per mezzanotte diversi spuntini e un bagno,
andare a scuola di canto, piantare l’orto in balcone,
a luglio mangiare pesche da farne un’indigestione.

Un giorno voglio imparare a fare la verticale,
a fare la spesa giusta perché niente vada a male,
a correre almeno un’ora riuscendo anche a respirare,
poi voglio scrivere un libro per dire quel che mi pare.

Io voglio fare la pizza e voglio che venga buona,
andare alle sagre estive, sentire un gruppo che suona,
poi leggere mille libri ma senza nessuna fretta,
partire da casa presto per muovermi in bicicletta,
comprare solo i vestiti con cui mi sento me stessa,
giocare un po’ alla gitana ma anche alla principessa,
non dire di no alle cose che sfuggono all’ordinario,
provare a assaggiare tutto, fregarmene dell’orario,
io voglio restare in spiaggia finché non è tutto spento,
io voglio, per parrucchieri, salsedine, sole e vento,
non voglio schiacciare i ricci che tornano dall’inverno,
non voglio dire “vorrei”, e poi attendere in eterno.
Che poi devo solo alzarmi, e smettere di annunciarlo:
se voglio fare qualcosa, non devo che andare e farlo.

lunedì 22 giugno 2015

Chi se ne frega del titolo

Mi verrebbe da dire che negli ultimi 9 mesi sono stata una "prof". Siamo così abituati a nominare e etichettare tutto, che un bel giorno ci viene voglia di etichettarci da soli. Forse ci sembra di contare di più, di avere una storia più interessante da raccontare. Ma allora - se è così - che cosa diventerò, io, da luglio in poi? E tutto quello che sono stata negli ultimi 9 mesi, forse non lo sarò più? O lo sarò di meno? Non so, forse preferisco dire altro. "Prof", ok, va bene. Un buon numero di minorenni mi chiamava così, ma non avevano altra scelta dopotutto. Però in fondo sono stata, più che altro, quella che ogni mattina alle 7.30 attraversava la campagna cantando con la radio, salutando i gatti sul ciglio della strada, felice 9 volte su 10, anche se nel contratto non c'è scritto. Quella che ha sicuramente sbagliato una valutazione, o fatto un'odiosa preferenza senza volere, ma che altre volte ha attirato l'attenzione di tutti sbattendo un po' la mano sul registro, ha detto: "Silenzio!", si è seduta sulla cattedra e magari ha chiesto scusa. O magari non l'ha chiesto, ma è stata scusata lo stesso, perché si capisce quando vuoi bene.

Togliere le etichette può essere complicato. Pensa a quella del costume, che ti fa prudere in fondo alla schiena e se la tagli male, per di più, rischi di far fuori della stoffa fondamentale, se non altro per la decenza. Pensa anche a quella della marmellata, che se un domani decidi di riciclare il barattolo per un sugo, o per i capperi, ti farà litigare con la colla tutto il giorno, e sarà una lunga battaglia fatta di unghie troppo corte, acqua bollente e alcol etilico.

Mi sa che questa crisi, a noi giovani, ci sta dicendo di non affezionarci tanto alle etichette. All'inizio mi faceva un po' incazzare, ma forse un giorno - lo sospetto - mi toccherà dire che è andata bene così. Chi se ne frega del titolo, quando il libro è bellissimo.